Una buona carriera che l’ha visto calcare i polverosi campi della provincia fino a quasi quarant’anni ma, nemmeno allora, era arrivato il momento di appendere gli scarpini al chiodo. Andrea Girelli, classe 1975 e originario di San Paolo, ha avuto un percorso insolito nel mondo del calcio: chiusa la parentesi da calciatore si è immediatamente aperta quella da arbitro. Più che una scelta, quasi una vocazione: a dieci anni di distanza ci racconta le sue emozioni sul rettangolo verde, ancora intatte come agli esordi.
Ripercorriamo assieme la tua carriera da calciatore.
“Ho fatto tutta la trafila delle giovanili al San Paolo, la società del mio paese, ho girato la provincia in Seconda Categoria fino a 23 anni, quindi una decina d’anni sui campi nel cremonese e il successivo ritorno vicino casa, a Barbariga. Qui avrei dovuto fare il preparatore, invece sono rimasto in campo fino a 38 anni”.
La tua carriera da preparatore è durata poco, giusto?
“Già. Giusto il tempo di smettere di giocare, nel 2013, e ho fatto il corso da arbitro. L’anno successivo ero già sui campi, inizialmente le giovanili ma quasi subito mi hanno chiamato a dirigere gli Open”.
Una lunga carriera da calciatore, poi all’improvviso una scelta. Com’è maturata?
“In campo ho fatto spesso il capitano, la posizione più privilegiata per interagire con l’arbitro. È una figura che mi ha sempre incuriosito, una passione individuale ma ogni volta condivisa con un gruppo diverso di ragazzi. Negli ultimi anni da giocatore me lo ripetevo spesso: anch’io volevo provare quella passione! Ho sempre saputo che prima o poi avrei fatto il corso”.
Tornassi indietro, rifaresti questa scelta?
“Assolutamente, è stata azzeccatissima, quell’ora settimanale scarica ogni tensione. Mi rassereno di qualunque cosa, mi serve fisicamente e mentalmente. È il mio mondo”.
E come mai direttamente il CSI, dopo una vita in FIGC?
“Conoscevo già i dirigenti dai tempi dei tornei estivi, con alcuni s’era creato un rapporto d’amicizia. Mi sto togliendo tante soddisfazioni dal punto di vista umano, il CSI è un ente di promozione sportiva molto attento a questo. Non che in FIGC non ci siano persone disponibili, ma qui non ti senti mai un numero e capita che i dirigenti ti ringrazino solo per esserti presentato”.
In campo spicca la tua personalità. Come fa un arbitro a farsi accettare?
“Se facciamo del nostro meglio già nel prepartita, siamo a metà strada. Personalmente cerco di arrivare presto al campo, con serenità, e la gente lo percepisce. L’impatto iniziale è importante, occorre lasciar fuori le negatività della giornata. Preparo la gara, cerco di imparare prima i cognomi dei giocatori così non li chiamo per numero e capiscono che sono sul pezzo. Credo che un buon approccio paghi”.
E c’è mai stato un momento in cui le cose non sono andate per il verso giusto?
“Un paio di volte, con giocatori che in campo hanno sfogato la propria rabbia, o nel post-partita tra squadre e pubblico. Ma mai situazioni degenerate in violenza: le ho superate con calma durante la gara e a posteriori ho provato a spiegarmi”.
Invece, una cosa bella di quest’esperienza?
“La grande amicizia con il mio amico Fabio: è un ragazzo del mio paese che mi seguiva già da calciatore e che oggi non si perde una partita. È diventata una passione anche per lui, il CSI l’ha coinvolto nella sua grande famiglia tanto da assegnargli il vestiario ufficiale”.
Cosa diresti ai giovani per attirarli verso il vostro mondo?
“Di non mollare mai, tenere sempre la passione al primo posto, pensare a quanto piace arbitrare e condividere il tutto con altri. Anche in caso di episodi di scarsa intelligenza, se ci si pone in maniera positiva e si è professionali, poi passa tutto. La tecnica man mano viene e ci si perfeziona…”.
E perché preferire far l’arbitro, rispetto a lavorare in un gruppo?
“Guardando alla mia esperienza personale, avevo bisogno di una palestra di vita e far l’arbitro lo è. Bisogna prendere decisioni in poco tempo, nella vita mi è servito. Non che fare l’allenatore o il preparatore non lo sia, ma l’arbitro è un guardarsi dentro. Mi sono messo in discussione in una veste che mi incuriosiva”.
Una figura cui ti sei ispirato, sia tra i professionisti che tra coloro con cui hai interagito.
“Nel calcio che conta sicuramente Pierluigi Collina e Markus Merk, mentre per quanto riguarda il CSI direi Emiliano Scalfi e Germano Franzoni, oggi rispettivamente il nostro presidente e il responsabile del settore. Li ho sempre ammirati, in primis come persone”.
Concludiamo con il tuo parere sulla tecnologia nel calcio.
“Sono assolutamente a favore: poter limitare gli errori è qualcosa di positivo e risolve tante questioni. Credo tuttavia vada normata e in alcuni casi le decisioni andrebbero lasciate all’arbitro, non si deve arrivare a fischiare a comando. Preferisco un fischio convinto e con personalità, piuttosto che lasciar correre in attesa del replay. Aiuto sì, locomotiva trainante no”.