Quando arbitrare è una “questione di famiglia”: parla Matteo Pasetti, arbitro CSI come il padre Dante

Che il calcio possa essere una passione tramandata di generazione in generazione non è una novità, basti pensare ai vari Mazzola, Crujff, Maldini o in tempi più recenti a Thuram, Weah o Chiesa, giusto per citarne alcuni. Ma c’è anche chi segue le orme paterne intraprendendo la carriera da arbitro: è il caso di Matteo Pasetti, classe 1996, da due anni al CSI dopo l’esperienza sui campi FIGC.

 

Quando hai maturato l’idea di passare dal pallone al fischietto?

“La mia carriera da calciatore è stata breve, ho giocato qualche anno nel CSI con il Bettinzoli e il Quartiere I Maggio. A 16 anni, quando ancora giocavo, mio padre Dante – allora arbitro CSI – mi consigliò di iscrivermi al corso di arbitro FIGC e per tre anni ho fatto entrambe le cose”.

 

E cosa ti ha spinto verso questo passo?

“Inizialmente volevo ritagliarmi una nuova esperienza e, con il rimborso, avere qualche soldo da parte per le mie spese. A 19 anni mi sono poi stancato di giocare e ho fatto un “all-in” verso il mondo arbitrale che, fin dall’inizio, mi ha coinvolto in vari progetti grazie ai quali mi sono tolto tante soddisfazioni. Sono stato a Coverciano, seguito da professionisti, e sono arrivato fino alla Prima Categoria. Poi ho smesso a 23 anni perché tra studio e lavoro non potevo dare il giusto spazio, eccetto qualche torneo notturno estivo”.

 

Quattro anni dopo, ovvero un anno fa, sei rientrato nel giro.

“Sì, stavolta nel CSI, volevo cambiare un po’ aria. La prima stagione è andata piuttosto bene, è stata un crescendo fino alle finali provinciali. Mi sto divertendo in questo nuovo ambiente”.

 

Che cos’è per te essere arbitro?

“Mi ha aiutato a tirar fuori il carattere, ad esprimere quello che ho dentro. Quello che per un calciatore è il pallone, per me è il fischietto. Non mi piace essere protagonista, quello spetta ai giocatori: il mio ruolo è far star bene tutti e far rispettare il regolamento”.

 

Quindi sei uno che predilige il dialogo.

La mia idea è parlare molto ai giocatori, cercare di spiegare le mie ragioni, se possibile anche nel post-partita appena smaltita adrenalina. Il calcio è uno sport di squadra, mentre a far l’arbitro sei da solo, non è affatto facile, è qualcosa che deve piacerti”.

 

Ricordi ancora la tua prima volta?

“La prima partita FIGC è stata nel 2012 al Bettinzoli, dove ho giocato da calciatore. Ricordo perfettamente che è coincisa con un’espulsione e quel giocatore l’ho rincontrato dopo anni ad un torneo notturno e abbiamo scherzato sulla cosa. Lui ce l’aveva col pubblico, io tirai fuori il cartellino rosso e loro mi applaudirono. La prima CSI una partita di serie B Open a Palazzolo nell’ottobre 2023”.

 

Come vedevi la figura arbitrale da giocatore?

“Non sono mai stato quello che infastidiva l’arbitro. Piuttosto chiedevo spiegazioni dopo la partita. Dialogo e rispetto, esattamente come oggi. C’è sempre da imparare, negli anni ho avuto modo di migliorare a gestire. Preferisco prevenire e durante l’appello dire quello che vorrei; se poi qualcosa non va, chiamo i capitani”.

 

C’è stato qualche momento in cui hai pensato di mollare?

“Beh la domanda ce la facciamo spesso, ma ogni partita è a sé e di episodi ne capiteranno sempre. Ricordo un episodio in particolare, a Botticino, con due squadre che già avevano rancori da precedenti incontri, ma dai problemi nascono sempre soluzioni”.

 

Invece qualcosa che ricordi con particolare piacere?

“Una gara Juniores dove a mia insaputa arrivarono l’organo tecnico e gli osservatori. Mi diedero una valutazione alta grazie alla quale si aprirono le porte di Coverciano”.

 

A chi ti sei ispirato, a parte ovviamente tuo papà?

“Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Orsato, ci ha spiegato come preparava le partite. Ma cito anche Rizzoli di cui conservo ancora il libro: quando entrava in campo la sua presenza si sentiva”.

 

E del Var, cosa ne pensi?

“Andrebbe usato come in altri sport, con gli allenatori a richiederlo, ma credo sia stato un bene per il calcio. Tuttavia è venuto un po’ meno il coraggio di fischiare e non bisogna mai arrivare al punto che l’arbitro diriga e basta”.

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