Prima portiere, poi allenatore, dirigente e da vent’anni arbitro nella Serie A Open CSI Brescia: Dario Butturini, figura iconica del calcio locale, a 60 anni si diverte sul rettangolo verde proprio come se fosse il primo giorno. Dai guantoni al fischietto, sempre con la medesima passione.
Che cos’è il calcio per chi come te l’ha vissuto a 360 gradi in qualunque ruolo?
“Ho iniziato da ragazzino ed oggi sono ancora qui, per me è semplicemente tutto!”.
Ripercorriamo allora le tappe della tua carriera calcistica.
“Ho fatto la Scuola Calcio alla Leonessa, a Chiari, sei mesi all’Atalanta e alla Solbiatese, poi sono stato a Bovezzo in Terza Categoria e ho giocato qualche anno al CSI”.
Come è maturata l’idea di arbitrare?
“È nata da una sorta di sfida! Durante un incontro venne assegnato un rigore inesistente contro la mia squadra: la decisione portò ad un piccolo battibecco con il direttore di gara che mi disse ‘vorrei vedere se tu avessi il coraggio di fare il corso per arbitri, con quel carattere!’. Detto, fatto: lo presi sul serio e iniziai ad arbitrare”.
Da allora sono passati vent’anni e se oggi sei ancora qui, vuole dire che la sfida l’hai vinta tu.
“Tra l’altro si trattava di un Signor Arbitro, uno dei migliori! Io in realtà non mi ritengo né migliore né peggiore dei colleghi. Di certo, quando giocavo, non pensavo potesse essere così difficile prendere decisioni in una frazione di secondo”.
Quando è stata la tua prima partita da direttore di gara?
“A Palazzolo nel 2005, una partita di Open a 7, categoria Promozione. A fine gara l’osservatore si complimentò con me”.
E quella che vorresti cancellare?
“Una di calcio a 11 in cui vidi giocatori venire alle mani dopo un rigore dato. Un episodio a risultato già acquisito, ma dovuto esclusivamente alla rivalità tra squadre. Non mi era mai capitato, fui costretto a dare tre mesi di squalifica ad un atleta”.
Come si fa a tapparsi le orecchie di fronte alle proteste?
“Quelle che arrivano dal pubblico a volte sono giuste, altre meno, ma nel nostro ruolo devi tirare dritto e fare finta di niente. A volte da giocatore le cose si vedono diversamente, anche se spesso a fine gara vengono da me e ammettono di avere torto. Certo, anche l’arbitro a volte può riconoscere l’errore, non serve essere altezzosi. Occorre sempre dialogo”.
C’è stata una figura che per te è stata fonte d’ispirazione?
“Arbitri bravi nel CSI ce ne sono stati tanti, ma il top rimane il nostro presidente Emiliano Scalfi. Da lui ho imparato tanto su come si gestisce una partita e come si dialoga con un giocatore. Se oggi sono ancora qui lo devo a lui”.
Come reputi la tecnologia in supporto agli arbitri?
“Andrebbe utilizzata diversamente, così com’è dà spesso l’impressione che non ci sia uniformità di giudizio. Il vero calcio, per me, rimane quello in cui l’arbitro si consulta con i due assistenti e prende la propria decisione”.
Restiamo al CSI, come si è evoluto il nostro campionato?
“Negli ultimi anni il livello è cresciuto in maniera esponenziale. Alle squadre è stato offerto un ampio ventaglio di scelta: la Coppa Leonessa, la Supercoppa, Provinciali per A e B, Regionali e Nazionali, e via dicendo. L’associazione è una garanzia da questo punto di vista: tanto di cappello alle gestioni degli ultimi anni, che hanno lavorato al meglio riuscendo ad attrarre le squadre”.