Una passione infinita per il calcio e un legame con la terra d’origine che lo porta, più volte nell’arco di ogni settimana, a macinare chilometri per tornare in Franciacorta e sedersi sulla panchina del suo paese. Lorenzo Ghitti, classe 1978 e allenatore dell’Uso Borgonato in serie A, calca questi campi da oltre vent’anni: la sua squadra non sta attraversando un buon momento ma con l’esperienza e il carisma che lo contraddistingue proverà fino all’ultimo a centrare l’obiettivo salvezza.
Un tuo avversario ha detto di te che sei una delle persone più preparate della provincia.
“Mi fa piacere, ma credo di avere semplicemente una grande passione che mi porta a fare chilometri per coltivarla, a volte anche per andare su campi per vedere partite del mio e di altri gironi”.
Ripercorriamo i tuoi percorsi calcistici.
“Ho fatto la trafila delle giovanili nel Cortefranca, poi ho militato nel Provaglio in Seconda Categoria ma a 24 anni, assieme ad alcuni compagni di squadra, siamo passati al calcio a 7 nell’attuale Uso Borgonato. E oggi sono ancora qui, ad eccezione di un breve triennio iniziato nel 2018, anno della fusione con l’attuale Ediltre, in cui conquistai la promozione in A”.
Una società, la tua, che vanta oltre cinquant’anni di storia.
“È tra le più longeve della provincia bresciana, l’anno di fondazione è il 1968 e prima di me anche mio padre giocò e allenò qui. Oggi vivo a Offlaga ma il legame con questa terra è sempre saldo”.
Domanda inevitabile: non ti stanca fare così tanti chilometri?
“Me lo chiedono in tanti, ma l’unica risposta è la passione. È quella che muove tutto. E poi io amo Borgonato, sapere di andare in giro per la provincia e rappresentarla è motivo d’orgoglio. Questo mi spinge a continuare. Essermi allontanato è lo stimolo in più che mi fa tornare qui”.
Quando hai deciso di diventare allenatore?
“Credo sia qualcosa che sentivo già da giocatore. Non tanto per le mie capacità tecniche che ritenevo medie, ma perché mi sentivo un leader, uno che non mollava mai. Mi piaceva assumermi la responsabilità della squadra. Mi piace l’idea di insegnare le mie conoscenze, trasmetterle ai giocatori e vederle messe in pratica sul campo”.
Ti piacerebbe un giorno allenare a 11?
“Indubbiamente mi piacerebbe potermi concentrare esclusivamente sul mio ruolo perché a 7 spesso non ci sono società alle spalle e di conseguenza il mister deve pensare a tutto. È come un lavoro. Ho avuto ancora richieste dal calcio a 11 ma non erano conciliabili con il lavoro. E poi vorrebbe dire lasciare il mio Borgonato… Vedremo”.
A quale figura di allenatore ti sei ispirato?
“Ancelotti e Velasco. La problematica più grossa è gestire la testa dei giocatori e loro in questo sono maestri. Se guardo invece alla mia carriera ripenso a Battista, mio allenatore nell’under 21 a Provaglio. Mi ha insegnato che, se vuoi ottenere qualcosa, devi sempre faticare: nel calcio come nella vita”.
Il ricordo calcistico a cui sei più legato?
“Anche se non c’entra con il calcio ad alti livelli, direi l’esperienza con la squadra dell’Itis Castelli con cui partecipai al torneo itinerante contro le varie scuole. Partendo dalla nostra provincia arrivammo fino al terzo posto ai nazionali di Rimini. Arrivò persino Teletutto a intervistarci. Era una realtà genuina, ma ci siamo sentiti come professionisti”.
Com’è cambiata negli anni la categoria CSI Open?
“Credo vada dimenticato quello che tutti consideravano il “calcio da oratorio”. Oggi il tasso tecnico ha avuto una crescita esponenziale e ragazzi sempre più giovani sono attratti da un torneo che forse ritengono più divertente, ma che comunque richiede impegno e sacrificio”.
Chiudiamo con la tua squadra e l’attuale stagione.
“Dopo una stagione di alto livello quest’anno abbiamo avuto qualche vicissitudine e infortuni. Le cose stanno girando male e la riforma che prevede quattro retrocessioni dirette non aiuta, ma non dobbiamo assolutamente mollare, il tempo per rimediare c’è”.