La Serie A Open CSI Brescia è da sempre impreziosita da ex professionisti a undici che, anziché appendere le scarpe al chiodo, prolungano la carriera anche fino a cinquant’anni. Ma tra loro c’è anche chi è andato controcorrente e ha lasciato precocemente il campo per seguire un’altra strada. È il caso di Gianluca Rossi, 38enne allenatore del neopromosso Real Ghedi e già da quasi un decennio alla guida di squadre di calcio a 7. E con un palmares di tutto rispetto, con due campionati vinti con il Gottolengo nel 2016 e nel 2018.
In una fase in cui le carriere si allungano, raccontaci questa tua scelta di sederti in panchina così presto, almeno rispetto alla media.
“Ho sempre voluto stare in questo mondo ma ho capito presto i miei limiti in campo – ride -. Ho accettato di rimettermi in gioco e di gestire una squadra formata da amici. E da lì è partito tutto, oggi ho anche il patentino di allenatore. Da giocatore, in realtà, questo pensiero non l’avevo mai fatto”.
Sarà anche nata per caso ma il doppio salto dall’allora Promozione all’Elite non è da tutti.
“È stata una bella scalata. Ho iniziato nel 2013 e l’anno dopo abbiamo vinto il campionato. Poi un altro anno di assestamento e nel 2016/17 siamo saliti in massima serie arrivando secondi. Dopo un anno sabbatico sono tornato, sempre in Elite e ho conquistato la salvezza, poi lo stop dovuto al Covid.”
Facciamo un passo indietro e ripercorriamo i tuoi trascorsi sul campo.
“Da bambino ho frequentato come tanti miei coetanei la Scuola Calcio del mio paese, Gottolengo, e lì ho giocato l’intera carriera a 7 nel CSI”.
Da veterano della categoria, come si è evoluto questo sport negli anni?
“Il livello del CSI è cresciuto tantissimo, i campi oggi sono per la maggior parte in sintetico e c’è stato un salto di qualità a livello tecnico. Oggi anche chi ha talento viene da noi. Una volta questo sport era visto come l’alternativa per chi non ce la faceva nel calcio a 11, oggi non è più così”.
Veniamo al presente e a questa tua nuova avventura.
“Quest’estate mi ha contattato il Real Ghedi, squadra neopromossa in A. Ho accettato con entusiasmo. Il gruppo è forte, disponibile, ci stiamo conoscendo bene. Il girone è di quelli tosti ma puntiamo a raggiungere la quota salvezza il prima possibile e poi provare a divertirci contro tutti”.
Sei partito dal basso per arrivare ai vertici al timone di una squadra composta da amici. Com’è stato iniziare ad allenare un gruppo di sconosciuti?
“L’impatto è stato difficile, non conosci la gente e normalmente se i risultati non vengono fai fatica a farti apprezzare. Provi subito a farti conoscere per come sei, per le tue idee, devi avere passione e costanza. Devo dire che sono stato accolto molto bene”.
Allenare qualcuno che ha avuto una carriera importante può mettere in soggezione?
“Beh, normale che ci sia gente che ha masticato calcio più di te ma con lo studio e la voglia devi portare avanti le tue idee. Anche ad alti livelli ci sono stati allenatori vincenti che in precedenza non avevano mai sfondato in campo, e viceversa. Ci sarà sempre qualcuno più bravo di te, ma al tempo stesso ci sarà qualcosa da imparare”.
C’è stata una figura di allenatore che è stata per te fonte di ispirazione?
“Paolo Facchetti a Gottolengo, il mio mentore. Mi ha spronato a dar tanto, ha creduto in me, e l’ho sempre visto tenere unito un gruppo. Invece se ti riferisci al calcio dei big, da milanista non posso che dire Carlo Ancelotti”.
E quando eri “dall’altra parte”, cosa pensavi dell’allenatore?
“Li vedevo come delle figure da ascoltare, che ti trascinano. Ho sempre creduto in loro. Non si tratta di saper semplicemente mettere la formazione e fare i cambi: può anche sbagliare ma deve trasmettere le proprie idee e, compito non facile, riuscire a mantenere unito un gruppo che altrimenti rischierebbe di disgregarsi”.
Se un domani ti offrissero una panchina nel calcio a 11?
“Ogni tanto mi è venuto il pallino, ma almeno per ora mi vedo meglio a 7 perché è un ambiente che conosco da sempre. Dovrei studiare tanto, imparare il sistema e metterci tanta testa. Però mai dire mai”.