Nata sul campo in sabbia del paese natale e tramandata dal padre; proseguita dapprima sui campi a 11 della provincia, poi con l’esperienza da allenatore delle giovanili e infine al ritorno al luogo d’origine. La passione del portiere è qualcosa di innato per Marco Peli, estremo difensore di una delle squadre più forti nel panorama della serie A: il San Giovanni Polaveno. Classe 1990 e originario della frazione triumplina, anche quest’anno con la sua squadra tenterà la scalata al vertice.
Ripartiamo da dove tutto è iniziato.
“Ho iniziato da bambino al CSI, nella stessa squadra in cui milito oggi, dopodiché sono passato alla Leonessa e quindi al Lumezzane, dove ho giocato per quattro anni e mezzo e ho avuto come compagno di squadra anche Mario Balotelli. Mi sono poi trasferito al Sant’Andrea Concesio dove ho ultimato le giovanili e ho esordito in Seconda Categoria, serie in cui ho proseguito con la maglia del VS Lume fino al 2017”.
Nel frattempo, però, era sbocciata un’altra passione…
“Esatto, ho iniziato a fare il preparatore dei portieri delle giovanili. Due anni alla Voluntas Montichiari, poi quattro a Brescia nell’attività agonistica e da due stagioni alla Feralpisalò nell’attività di base. Inizialmente giocavo e allenavo, poi ho lasciato il calcio a 11 perché fare coesistere le due cose era troppo faticoso”.
Ma il richiamo del campo non ha tardato a farsi sentire.
“Nel 2017 sono tornato tra i pali del San Giovanni Polaveno, dove avevo iniziato da bambino. E oggi, sono ancora qui!”
Com’è stato il passaggio da un tipo di calcio ad un altro?
“A 7 sei molto più sollecitato. Ci sono meno cross e molti tiri improvvisi, l’attenzione non può mai calare. Questo sport dopo il Covid è cresciuto molto, ci sono giovani che hanno mollato la Figc per proseguire qui. Il mio ruolo resta molto delicato e a reperire portieri si fa sempre fatica. E le novità del calcio moderno si stanno ripercuotendo anche qui: meno palla lunga e molto gioco con i piedi”.
La cosiddetta “costruzione dal basso”. Da preparatore, come la vedi?
“Fare il portiere era già difficile prima, oggi ancora di più. Servono maggiori competenze e qualità, soprattutto serve personalità. Una volta non si facevano allenamenti specifici con i piedi, ora una buona fetta d’allenamento va dedicata a quello. Io mi adatto al mister e alle sue richieste. Può essere un’arma e va adattata al momento e all’avversario, ma non bisogna esasperare la cosa. La scuola italiana era una delle più famose, poi tutto si è mosso per rendere il portiere meno bello ma più efficace”.
Tu quando hai iniziato a pensarti portiere?
“È una cosa di famiglia, lo era anche mio padre e la passione l’ha trasmessa lui. Da bambino giocavo anche con i ragazzi più grandi e mi mettevo sempre in porta. L’idea di tuffarmi, lanciarmi e salvare i gol mi è sempre piaciuta. Il portiere lo vedevo come l’ultimo baluardo, colui che fa veramente la differenza e che aiuta e fa sentire sicuri i compagni con il suo carisma”.
Come mai a volte si sente dire che i portieri sono un po’ matti?
“Forse perché per evitare il gol ci si lancia e si utilizza ogni parte del corpo. Qualcosa legato all’istinto. Sì, un po’ mi ritrovo anche io nella definizione. Mi è sempre piaciuto urlare, esultare e far emergere emozioni positive. Anche se oggi mi sono calmato rispetto al passato!”.
Se dovessi convincere un giovane a provare ad andare in porta…
“Gli direi che è il ruolo più bello del mondo. Nonostante le tante responsabilità e le critiche dopo gli errori, le emozioni che provi a salvare il risultato hanno più valore persino di fare gol. È più difficile e le variabili sono tante. Tuffarsi, rotolarsi… è un qualcosa che riassume gesti primitivi, ma devi sentirtelo dentro. Convincere qualcuno è difficile e in effetti, quando i miei ragazzi fanno i provini, chiedo loro perché e quando hanno iniziato”.
Veniamo quindi al San Giovanni Polaveno che molti considerano la “squadra da battere”.
“Abbiamo vinto molto negli ultimi anni, e quindi ci siamo fatti questa nomea. Nel 2016 sono arrivate la Supercoppa e il Leonessa, nel 2019 il titolo provinciale, la Supercoppa e il terzo posto ai regionali. Dopo il Covid sono arrivati nel 2022 campionato, provinciali e Supercoppa, mentre un anno fa campionato e secondo posto ai provinciali. Abbiamo mantenuto un buon ruolino di marcia”.
Come si crea l’amalgama che permette di vincere così a lungo, in una realtà così piccola?
“Polaveno fa un totale di 3000 abitanti se si sommano le tre frazioni, tra cui la nostra. Ci si conosce fin da piccoli e, aldilà dell’indiscutibile valore tecnico, credo che il senso di appartenenza al territorio sia un valore aggiunto. I ragazzi più giovani man mano subentrano, tanti decidono fin da piccoli di rimanere qui anziché proseguire altrove a 11. E infatti abbiamo anche un settore giovanile che sta raccogliendo dei frutti, come il titolo provinciale U14. È una bella base da cui partire. Un legame che coinvolge anche la gente del posto, che ci segue molto”.
Alla “squadra da battere”, quindi, è inutile chiedere l’obiettivo stagionale.
“Eravamo nel girone della Franciacorta, ora siamo in quello della Valtrompia ed è veramente tosto, qui ci conosciamo tutti. Però certamente l’obiettivo rimane quello di vincere e ce la metteremo tutta. Oggi mi sono dovuto spostare per motivi familiari ma la mia passione è ancora intatta. I ragazzi sono fantastici, è un grande gruppo. E quando salgo da queste parti… ho ancora la stessa voglia di tuffarmi su quella sabbia, nel nostro fortino!”.